Ma, in fin dei conti, che cosa è l’Opus Dei e soprattutto come è strutturata?
Quest’organizzazione, che sarebbe bene chiamare “Società sacerdotale della Santa Croce”, fu fondata nel 1928 a Madrid da un prete diocesano originario dell’Aragona, Josemaría Escrivá de Balaguer y Albas. Scopo dichiarato dal sacerdote era quello di riattivare il fervore cristiano, ingaggiare una lotta senza quartiere contro la rivale di sempre, la massoneria, ed infine attaccare frontalmente il marxismo-leninismo. Per questo motivo, l’Opera trovò un alleato nel generalissimo Françisco Franco, il caudillo di Spagna che, diversamente dai suoi omologhi Mussolini e Hitler, aveva fatto del cattolicesimo militante ed integralista uno dei pilastri del suo regime, tanto da conferire, una volta vinta la Guerra Civile contro repubblicani ed anarchici, importanti dicasteri del governo agli uomini dell’Opera, come quello economico e quello degli Interni.
Tra gli scritti di Balaguer, spicca, senza dubbio, Camino (Il cammino). In questo pamphlet, il santo spagnolo spiega come diventare un leader, superando ostacoli ed avversità, sacrificando la propria vita per l’ideale cristiano duro e puro, simile a quello che sognava Ignazio di Loyola nel 1600.
Mortificazione della carne con cilicio e disciplina, duro lavoro intellettuale e fisico, secondo Balaguer coloro che sono chiamati da Cristo a santificare la loro vita debbono darsi completamente per la causa dell’Opera, lasciando da parte affetti familiari e aspirazioni individuali.
Il lavoro e la conseguente ricchezza raggiunta, quasi fosse una visione calvinista, sono un segno dell’approvazione di Dio. Chi raggiunge la mèta, e quindi posizioni di forza e di potere, deve essere ben accolto nell’Opera, purché operi nell’interesse esclusivo dell’organizzazione.
Tutto ciò, ovviamente, sarebbe in contrasto con le parole dello stesso Gesù Cristo che disse “Il mio Regno non è di questo mondo” e, in un’altra occasione “E’ più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli”… ma, come mi si potrebbe obiettare, “le vie del Signore sono infinite…”.
Quando nel 1946, Balaguer si stabilì a Roma con l’intento di iniettare linfa vitale ad una Chiesa che gli pareva essere “rammollita”, vescovi e cardinali si divisero tra chi era a favore e chi contro l’Opera.
In quel momento, diciamo di non pieno accoglimento dell’Opera da parte del Vaticano, l’ardito sacerdote spagnolo decise di dare alla sua creatura un’impronta semi-segreta e clandestina, per evitare ripicche e ritorsioni da parte dei cosiddetti “vescovi curiali”. Per questo motivo, divise l’organizzazione in alcune classi: i numerari, gli aggregati, i soprannumerari e i cooperatori.
Scopo principale di queste quattro classi era fare reclutamento per l’Opera, attraverso un forte proselitismo nelle scuole, negli ambienti di lavoro e persino negli ambienti ludici. Questa forma di reclutamento è chiamata in gergo pitar, cioè fischiare. Chi non porta nuovi adepti, chi non “fischia”, chi non fa proselitismo, è guardato con una certa aria di commiserazione da parte degli altri membri dell’Opera. Ed è in questo periodo storico che, come avviene in massoneria, è stabilita la regola che un adepto dell’Opera non deve rivelarsi al mondo profano né deve rivelare i nomi di altri membri da lui conosciuti. Le stesse persone avvicinate, che hanno alcune caratteristiche per diventare numerari, non partecipano mai a riunioni all’interno dei centri dell’Opera ma in strutture intermedie, fondazioni, club, scuole, il tutto per verificare che la persona abbia i requisiti giusti e che non sia un “infiltrato”.
Tra i maggiori oppositori all’Opera ci fu, negli anni Sessanta, quel vescovo Montini che diverrà Papa col nome di Paolo VI e che era molto legato agli ambienti americani, gli stessi che finanziavano l’Istituto delle Opere Religiose (IOR).
Tra i maggiori sostenitori dell’Opus, invece, c’era il vescovo di Kracovia, Karol Woitila che, spesso, quando veniva a Roma, pranzava e chiacchierava con don Escrivá.
Grazie anche ai voti dei cardinali vicini all’Opera, nel Conclave del 1978, Woitila poté diventare pontefice. Il programma del vescovo polacco interessava molto agli uomini dell’Opus Dei: tradizionalismo nelle forme, una chiesa forte, eurocentrica ed economicamente indipendente, lotta ai regimi comunisti dell’Est.
Ma la conquista della Chiesa di Roma non fu cosa troppo facile per gli uomini dell’Opera. Davanti a loro si stagliava il potere consolidato dell’americano monsignor Marcinkus, padre e padrone dell’I.O.R., alleato degli ambienti conservatori atlantici, ma anche di Licio Gelli, di Sindona, di Ortolani e di Calvi. Inoltre, a sbarrare la strada all’Opera c’erano i cardinali della fazione curiale, la cosiddetta “cordata dei romagnoli” detta anche “la costellazione dell’Orsa maggiore”.
In mezzo stava la “cordata dei piacentini”, tra cui spiccava il cardinal Agostino Casaroli, segretario di Stato Vaticano, molto legato ad Andreotti e fautore dell’Ost-politik, cioè di un dialogo aperto e sereno tra il Vaticano e i regimi dell’Est.
La lotta tra Opus Dei e la fazione curiale che appoggiava Marcinkus, con i piacentini che rimanevano neutrali, si fece intensa proprio durante l’affaire Banco Ambrosiano, come hanno raccontato Clara Calvi e Carlo Calvi, rispettivamente la moglie e il figlio del banchiere Roberto. Una lotta aspra che si risolse con la piena vittoria dell’Opera e il salvataggio delle finanze vaticane. Uno scontro epocale che vide sullo sfondo il moltiplicarsi di alcuni episodi inquietanti, ancora oggi di difficile interpretazione, come l’attentato a Giovanni Paolo II, il rapimento di Emanuela Orlandi, la dèbacle della loggia P2 con i suoi maggiori referenti, i massoni Calvi e Ortolani, legatissimi alla fazione curiale del Vaticano.
E’ un caso che nel 1982, nel momento in cui era sancito lo scioglimento per legge della loggia di Gelli, l’Opus Dei sia entrata trionfalmente in Vaticano grazie al fatto che Giovanni Paolo II le concesse uno status privilegiato, cioè la Prelatura personale, una sorta di rapporto diretto e non mediato tra l’organizzazione e il pontefice?
Lo stesso privilegio che Papa Onorio II concesse all’Ordine dei Templari nel lontano 1128!
Da quel momento, dal 1982, l’Opera divenne una diocesi internazionale, non legata ad un territorio specifico, che riferiva solo al Papa. Il suo fondatore fu creato Beato e poi recentemente Santo. La struttura originaria, creata da Balaguer, resiste tutt’oggi ma non possiamo parlare di struttura segreta in quanto, nel 1986, l’allora ministro Oscar Luigi Scalfaro, rispondendo ad una interrogazione parlamentare di Bassanini e di Rodotà, dichiarò in Parlamento che nell’Opera è tutto regolare, non c’è segretezza ed è un’organizzazione in odor di santità.
I numerari sono l’èlite, le punta di diamante dell’organizzazione. Sono maschi e femmine che hanno fatto i tre voti di castità, obbedienza e povertà. Vivono nei centri dell’Opera, la cui direzione centrale sta a Roma, in via Buozzi, anche se al di fuori non c’è una targa che indichi la sua presenza.
Ai numerari corrispondo alcuni simboli: l’anatra che galleggia, l’asino che fa un duro lavoro senza lamentarsi, la lanterna che deve essere passata come un testimone a colui che entra nell’Opera. Infine c’è l’anello, simbolo del matrimonio indissolubile con l’Opera.
I numerari provengono da famiglie cattoliche agiate. Studiano nei centri dell’Opera per poter, poi, essere collocati nelle grandi industrie, nelle fondazioni bancarie, nei mass-media e nelle grandi strutture della burocrazia. Spesso sono grandi professionisti. Tra questi ricordiamo l’ex deputato Alberto Michelini, mezzo busto dei telegiornali della Rai negli anni Ottanta.
Poi ci sono gli aggregati, che si trovano un dito sotto ai numerari, anche socialmente parlando.
I soprannumerari, invece, che possono essere sposati, vivono secondo le ferree regole dell’Opera ma, diversamente dai numerari, non sono costretti a versare tutti i soldi che guadagnano.
Infine i cooperatori, che sono numerosissimi e che possono essere anche non cattolici.
Cinque anni fa, il portavoce dell’Opera, il marchese Giuseppe Corigliano, detto Pippo, è apparso in tv, su una rete Rai, per confutare quanto il romanziere Dan Brown aveva scritto riguardo all’Opera e per meglio spiegare cosa fosse. Corigliano ha affermato che l’unica ostentazione di un membro dell’Opera è un grande sorriso e una certa diplomazia nei confronti “degli altri”, cioè di coloro che non fanno parte della Comunità. Ha ribadito moderatamente che Brown è fantasioso quando scrive che nell’Opera ci sono monaci (come il Silas del romanzo omonimo) e che all’Opus Dei servono tanto il banchiere di Wall Strett quanto il contadino delle Ande ma che entrambi sono laici e non prendono ordini se non dalla loro coscienza.
Mi verrebbe da chiedere al nobile marchese: ma non sono tecnicamente dei monaci coloro che pronunciano solennemente i tre voti, come fanno i numerari all’interno dell’Opus? E i monaci non hanno, forse, il dovere di obbedire ai loro superiori?
Su una cosa però ha ragione il portavoce dell’Opera: tutti i numerari, ogni mattina, recitano il Padre Nostro. La cosa strana è che, come hanno dichiarato alcuni numerari che sono usciti dall’organizzazione, El Padre sia… il Santo Escrivá!