Lei si chiamava Emlou Aversu. Venerdì scorso, 6 agosto, si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato: viale Abruzzi 66 a Milano. La donna, filippina di 41 anni, era di casa da queste parti. Nell’appartamento della sorella in viale Abruzzi ci passava ogni mattina, puntuale, alle 8, col figlio piccolo di 11 anni. Lui restava, col borsone il costume da bagno e la cuffia: la piscina comunale Bacone dista trenta metri, dall’altra parte del marciapiede, una delle poche aperte ad agosto, e i giardinetti con gli scivoli e le altalene che gli adolescenti dividono con bimbi e badanti sono cento metri più avanti.
Emlou lo lasciava a giocare e poi andava a lavorare per un paio di famiglie del quartiere, colf da quando era arrivata a Milano. Era al suo ultimo giorno di lavoro: poi ci sarebbero state le vacanze, il ritorno verso le Filippine fino a fine mese.
Emlou lo lasciava a giocare e poi andava a lavorare per un paio di famiglie del quartiere, colf da quando era arrivata a Milano. Era al suo ultimo giorno di lavoro: poi ci sarebbero state le vacanze, il ritorno verso le Filippine fino a fine mese.
fiori per Emluo in viale Abrizzi a Milano
E invece venerdì scorso, ad aspettarla, c'era un destino orribile, con l'astetto di un folle 25enne con l'hoppy del pugilato e appena lasciato dalla fidanzata. E' sceso in strada come una furia, cercava una donna sulla quale sfogare la sua rabbia e ha trovato lei. I testimoni raccontano di una furia demoniaca e ceca: sono rimasti a guardare per minuti interminabili aspettando l'arrivo della polizia. In quei minuti "il pazzo" continuava a colpirla mentre ormai svenuta e a terra, il sangue cominciava a formare una pozza. Emluo stava morendo e chi c'era è rimasto a guardare terrorizzato e impotente.
Una storia che fa rabbrividire e fa provare rabbia: perchè nessuno è intervenuto? E' vero, il rischio era quello di fare la stessa fine della povera Emlou, ma resta un fatto inaccettabile: nessuno ha tentato di fermare l'assassino.
Ora arriva una lettera dell'Arcivescovo di Milano, mons. Tettamanzi, destinata a scuotere le coscienze.
"E' dal 6 agosto, giorno della sua uccisione - esordisce l'arcivescovo - che rivolgo la mia preghiera al Signore per Emlou Arvesu, per il marito, per i figli. Appresa la notizia dell'aggressione che la signora ha subito sono sorti in me tanti sentimenti sul drammatico epilogo della vicenda umana di questa donna, moglie, madre di famiglia, lavoratrice, migrante".
"La morte di una persona, qualsiasi morte, per cause naturali, per grave malattia, in tenera età o nella vecchiaia - aggiunge - porta con sè dolore, domande, riflessioni, preghiere e speranze. Ma davanti alla tragedia di cui la signora Emlou è stata involontaria vittima, il dolore, le domande, le riflessioni, la preghiera e la speranza sono più intensi".
il Cardinale Dionigi Tettamanzi
"La nostra preghiera inoltre - scrive nella lettera Tettamanzi - non può non presentare al Signore l'autore di questo omicidio: possa egli maturare consapevolezza del male commesso e della sofferenza causata, così che giunga ad esprimere con sincerità il proprio pentimento e la propria volontà di riparazione. Questo sarà il primo passo necessario per poter intraprendere il percorso di reinserimento nella vita della società".
"La partecipazione dei cristiani di Milano e di tutte le persone di buona volontà della nostra città a questo momento di preghiera - spiga il cardinale ricordando la messa in suffragio di sabato - sarà occasione per testimoniare l'anelito sincero e l'impegno operoso di tutti perché la violenza omicida sia vinta da un tessuto sociale che sa esprimere e vivere legami di sincera compassione, di vera comunione, di solidarietà e di integrazione".
Tettamanzi, nella lettera, sottolena quindi che è necessario volere una città dove "tutti si sentano responsabili di tutti". "In una città dove tutti si sentono responsabili di tutti - spiega - accorgersi e intervenire per aiutare, nel possibile, una persona che per strada subisce violenza, non è mai intromissione in vicende private, ma segno di legami sociali veri e forti. Esprimere poi, nella preghiera, con la vicinanza, con l'aiuto materiale, la propria solidarietà a chi è nel dolore, non è atto superfluo ma indice di appartenenza condivisa alla città".
"Reagire alla barbara uccisione di una persona cara con i più alti, ragionati e pacati sentimenti, come hanno fatto fin qui la famiglia di Emlou e la comunità filippina - conclude - non è sinonimo di indifferenza, ma germe di promettente speranza per una città che vuole sanare le ferite e asciugare le lacrime provocate dalla violenza ricorrendo alla forza della giustizia, della solidarietà e della carità".
Il messaggio dell'Arcivescovo è chiarissimo: le città sono comunità i cui membri sono vicendevolmente responsabili. Aiutarsi e difendersi è un obbligo morale.