Iraq, le incognite della "exit strategy" di Obama
di Fernando Termentini *
I militari statunitensi escono oggi definitivamente l’Iraq, lasciando solo 50.000 “formatori” che rimarranno ancora un anno. Un segnale sulla fine della guerra o piuttosto un’altra decisione affrettata e raffazzonata come l’avventato annuncio di Bush dell’aprile del 2003, “La guerra è finita” ?. Conoscendo quei luoghi, le tradizioni, la cultura di quella gente si è portati ad esprimere qualche perplessità sulla scelta temporale e le modalità della “exit strategy” voluta da Obama, di fatto molto poco coerente alla reale situazione che ancora caratterizza l’Iraq e l’intera regione del Centro Asia.
Troppo rapidamente è stato dimenticato che in Iraq le ultime elezioni hanno dato risultati a dir poco ambigui e che a Bagdad ancora non è stato formato un Governo in grado di assicurare la continuità politica ed istituzionale nel Paese. Per contro, Al Qaeda conferma la sua presenza e tutta la sua potenzialità operativa con i quotidiani attacchi terroristici, per lo più finalizzati a colpire tutte le costituende strutture irachene delle nuove Forze Armate ed alla Polizia. La sicurezza interna è affidata a strutture di Intelligence in forma embrionale, destinate ad essere affiancate e supportate da “contractors” privati. L’economia non decolla ed i curdi a nord “scalpitano”. In questa situazione, solo quanto avverrà in futuro potrà confermare o sconfessare la validità delle scelte del “Premio Nobel per la Pace”, il Presidente degli USA Obama.
Sul piano operativo qualche dubbio esiste se non altro per quanto attiene al corretto e completo “passaggio di consegne e responsabilità” fra le Truppe USA e quelle irachene, avvenuto in tempi rapidissimi ed assolutamente non congrui con la realtà locale che, piuttosto, imporrebbe lunghi periodi di consolidamento. Si spera che i 50.000 americani destinati a rimanere sul terreno non diventino insieme alla popolazione civile irachena un obiettivo sacrificale alla mercè dei terroristi ed, ancora, che i mutati equilibri di forza in Iraq non abbiano ricadute negative sull’embrionale processo di pace appena iniziato fra palestinesi ed israeliani. Un Iraq non adeguatamente “controllato” potrebbe anche rendere più difficile ed amplificare la già precaria stabilità dell’area prospiciente il Golfo di Aden ed il Corno d’Africa. In Palestina è ancora in atto il contrasto tra gli esponenti di Al Fatah, eredi della tradizione politica di Yasser Arafat, e gli uomini di Hamas. Differenze esaltate dalle filosofie e dalle strategie politiche che caratterizzano le due formazioni. Dichiaratamente “laicista” Al Fatah (in arabo significa “La conquista”), molto vicina al fanatismo Hamas (“Lo zelo”), in cui le venature religiose fondamentaliste cominciano ad apparire in maniera sempre più evidente e preoccupante (nasce come una diretta filiazione dei Fratelli Musulmani egiziani da cui ha iniziato Ayman Al Zawahiri, il numero due di Al Qaeda). Al Qaeda sta dimostrando di non essere disattenta a tutto ciò.
Nella striscia di Gaza Al Qaeda ha iniziato a sfidare Hamas contemporaneamente all’uscita degli americani dall’Iraq e nello stesso momento che terroristi salafiti attaccavano membri del Governo somalo a Mogadiscio. Una recentissima battaglia urbana a Rafah è stato il primo segnale. L'assalto a una moschea da parte delle milizie di Hamas con almeno 22 morti e 120 feriti, dopo la ribellione di un ispirato da Al Qaeda. Ad innescare lo scontro un gruppo salafita che ha preso lo spunto da un sermone pronunciato in occasione della preghiera del venerdì di Abdel-Latif Mussa, medico e leader riconosciuto del gruppo fondamentalista Jund Ansar Allah che al grido di "noi apparteniamo ad Al Qaeda, Osama Bin Laden é la nostra guida", ha proclamato "l'emirato islamico" di Gaza. In questo contesto, Al Qaeda potrebbe trovare i presupposti per rinforzare le proprie posizioni in tutta l’area Medio Orientale e del Centro Asia approfittando proprio della situazione irachena al momento caratterizzata da una realtà politico - militare non propriamente configurata, di ciò che avviene in Afghanistan dove è ancora lunga la strada che il Contingente NATO dovrà percorrere per raggiungere la vittoria, dalle rinnovate minacce iraniane e dagli accordi siriano - afgani ed, infine, dalla estrema instabilità del Corno d’Africa e del Golfo di Aden. Parametri complessi la cui validità non è determinabile a priori. Un solo auspicio, quello che approcci e decisioni politiche di facciata non concorrano a vanificare gli sforzi che la comunità internazionale ha affrontato fino ad ora per tentare di sconfiggere il terrorismo internazionale.
* Fernando Termentini è un Ufficiale Generale della Riserva dell'Esercito Italiano. Ha frequentato l'Accademia Militare di Modena. E' laureato in Scienze Strategiche e nell'arco della sua carriera si è occupato di tutte le attività connesse con i vari gradi ricoperti come Ufficiale dell’Arma del Genio. Ha acquisito particolare esperienza nazionale ed internazionale nel settore degli esplosivi e della bonifica dei territori inquinati dalla presenza di mine ed ordigni bellici non esplosi. Attualmente fornisce consulenza nel settore della bonifica, si occupa di analisi di rischio connesso alla minaccia terroristica convenzionale e non ed alle problematiche tecniche operative dell’impiego degli IED (Improvised Explosive Device). E’ autore di numerose pubblicazioni e studi consultabili attraverso il suo sito www.fernandotermentini.it
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