28 anni fa, il 3 settembre 1982, veniva ammazzato a Palermo il generale Dalla Chiesa. Era stato inviato in Sicilia perchè replicasse i brillanti risultati ottenuti nella lotta alle Brigate Rosse anche contro Cosa nostra. Accettò l'incarico di Prefetto, convinto dall'allora ministro dell'Interno, il democristiano Virginio Rognoni, perchè gli dissero che avrebbe avuto "poteri speciali". Tali da permettergli di mettere in ginocchio le cosche che governavano la Trinacria. Non fu così e lui lo denunciò più volte e in modo aperto e esplicito.
Quel 3 settembre, appunto, aveva chiesto di essere ricevuto dall'uomo che lo aveva "spedito" al fronte, Rognoni, che non lo ricevette perchè impegni più importanti lo portavano in giro per l'Europa. Come se in Italia potessero esistere priorità superiori alla lotta alla Mafia.
Ma nonostante l'inadeguatezza dei mezzi il Generale riuscì a conseguire ugualmente importanti risultati: l'arresto di boss mafiori, lo smantellamento di intere cosche e, soprattutto, il reperimento di informazioni "notevoli" che portavano alla "testa" di Cosa nostra. Come lui stesso riveò, Dalla Chiesa aveva com inciato a dirigere le proprie indagini verso il connubio tra Mafia e Politica. Le indagini più pericolose di tutte. Quelle che erano già costate la vita a tante persone prima di lui e che, probabilmente, costeranno anche la vita di Falcone e Borsellino.
Dalla Chiesa lo sapeva benissino ed è per questo che aveva dichiarato: "ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla".
Oggi più che mai gli italiani devono essere grato a quest'uomo che ha sacrificato la sua vità per la verità e la democrazia. Oggi più che mai il suo esempio deve essere il nostro esempio. Oggi più che mai l'Italia dovrebbe chiedere di sapere.