Intervista a Licio Gelli: "La P3 di Carboni? Noi eravamo molto meglio"


Se avessi vent'anni di meno saprei cosa fare: mobiliterei i miei amici (e ne ho ancora molti, sa?) per un'azione di protesta non violenta contro l'ingerenza dell'Europa. Farei sdraiare migliaia di persone in strada per opporsi a chi vieta di esporre il Crocifisso negli edifici pubblici. È il segno del degrado nel quale siamo finiti. Stia sicuro che il fondo non è stato ancora toccato
Mi pare evidente che sulla stagione che stiamo vivendo si stiano allungando le ombre dei peggiori fantasmi del nostro passato. Tornano gli schemi e i modi. Tornano persino i nomi e le facce. E allora l'Unione sarda va ad intervistare il "Venerabile". Niente accade mai per caso. o almeno io credo a questa teoria. Quindi vale la pena leggere queste poche righe e tenerle da parte per imminenti e future interpretazioni... (ndr)

di Anthony Muroni

Licio Gelli da Pistoia, 91 anni suonati, parla nell'elegante (e un po' retrò) salotto della lussuosa villa Wanda, l'eremo di Arezzo che da decenni è considerato uno dei luoghi-chiave dei misteri d'Italia. Ancora vigoroso dal punta di vista fisico («Peccato per tre fratture alla colonna vertebrale») e lucido nei ricordi, non smette di respingere l'etichetta che giudici, giornali e mondo politico, carte alla mano, gli hanno cucito addosso: «Noi il male d'Italia? Noi si aveva dell'idealità, si è agito per il bene del Paese, per cambiarne le istituzioni dall'interno. Non per l'arricchimento personale». Dell'accusa, ormai lontana, di attentato alle istituzioni dello Stato non vuole parlare più. Ma la P2 (960 aderenti) è uscita dall'oblio (nel quale, in verità, non è mai entrata) a luglio, quando la Procura di Roma ha fatto arrestare Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino, accusati di aver costituito una società segreta, sul modello della loggia di Gelli.
Cosa pensa del caso che la stampa ha ribattezzato P3?
«Beh, credo che ci sia qualcuno che ha cercato di superarmi, senza riuscirci».

Lei ride, ma non crede che quanto emerso sia grave?
«Senta, potrei anche offendermi. Come si fa a paragonare un'associazione massonica, e dunque seria, com'era la P2 a un sodalizio tra affaristi, finalizzato solo a fare soldi?».
Non crede all'esistenza di una nuova super loggia?
«Non scherziamo. Noi si aveva sei ministri, un'ottantina di generali, il mondo dell'economia e dell'editoria. Tutti legati da un'idealità: fare il bene del Paese e cercare di regalargli istituzioni più forti. Eravamo legati dall'anti-comunismo, non dalla voglia di fare affari».
Per Gelli la P3 non esiste?
«Non ho detto questo. Dico che quest'associazione non può essere assimilata alla P2. Le cronache raccontano non di un sodalizio massonico, finalizzato a fare del bene. Se sono vere le cose che dicono i magistrati, questi signori pensavano solo a fare gli affari loro».
Dunque Flavio Carboni non è il nuovo Licio Gelli?
«Ho capito, lei cerca di offendermi».
Eppure dovrebbe conoscerlo bene, sin dai tempi del caso Calvi.
«Non ho mai conosciuto Carboni. Mai. Ho sentito parlare di lui sui giornali, per il suo coinvolgimento in affari spesso poco puliti. E non ho mai saputo se le accuse che gli sono state rivolte siano vere o no».
Non l'ha conosciuto nemmeno ai tempi del Banco Ambrosiano?
«Mai. Ero buon amico di Roberto Calvi, questo sì. Ma Carboni non è mai stato massone. Nella nostra istituzione possono entrare solo persone oneste, di specchiata moralità».
Crede all'intreccio tra affari e politica, ipotizzato dai magistrati romani nell'inchiesta eolico?
«Non ho elementi per parlare delle inchieste e anche se li avessi non lo farei. La politica dei giorni nostri ha perso ogni riferimento ideale. Tutti, maggioranza e opposizione, sembrano più tesi a fare i propri interessi, quelli della propria famiglia e del proprio gruppo di potere. Si pensa a soldi e potere. E si trascura il fatto che il Paese affonda e si appresta a diventare una colonia cinese».
Prego?
«Proprio così. Qua in Toscana, nelle zone industriali, ci sono i cartelli con le indicazioni stradali in doppia lingua. Presto saranno solo in cinese. Le uniche fabbriche che restano aperte sono le loro. L'Italia presto non ci sarà più. E molto prima di quanto voi pensiate».
Non salva proprio nessuno? Nemmeno quel Berlusconi che era iscritto alla sua P2?
«Nella sua precedente esperienza di governo era stato più incisivo. Ora mi sembra troppo incerto, alla ricerca di una sterzata che non arriva. E poi non mi piace questa guerra continua con la magistratura».
Cosa dovrebbe fare per evitarla?
«Non sta a me dirlo. Ma vedo che oggi non si dimette più nessuno. Tutti sono indagati e fanno finta di niente. Attorno a Berlusconi c'è troppa gente che pensa agli affari propri e non all'alta politica».
E di Fini cosa pensa?
«È uno che, per poter piacere a tutti, ha tradito i suoi ideali, quelli che gli aveva insegnato Giorgio Almirante. Una delusione».
E l'opposizione?
«Non ha una voce unica, non si capisce di cosa parli e cosa proponga al Paese. Diciamo che il panorama generale è davvero sconfortante. Si perde tempo su tutto, trascurando che siamo sull'orlo di una crisi finanziaria che potrebbe gettare il Paese nel caos. Guardi che la Grecia è più vicina di quanto si creda».
Non salva nessun politico?
«Ne salvavo uno, recentemente scomparso. E mi fa piacere dirlo proprio a lei che è sardo».
Si tratta di Cossiga?
«Precisamente. Il politico più onesto che io abbia mai conosciuto. Non ha mai preso una lira e non pensava certo agli affari suoi. Era uno che metteva gli interessi dello Stato al centro della sua azione. Una persona per bene».
La gente vi accomuna in una considerazione, legata ai segreti che l'ex presidente si è portato nella tomba. Sono gli stessi che custodisce Licio Gelli?
«La vita è come una moneta: bisogna spenderla bene e spenderla tutta. Io l'ho fatto e lo faccio. Segreti non ce ne sono più, i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Cossiga ai miei occhi ha avuto anzitutto un grande merito: nel 1948 fu tra quelli che avviò l'operazione Gladio, che era finalizzata a impedire l'invasione comunista dell'Italia. Invasione che l'Unione sovietica stava progettando. E di questo ci sono le prove».
Ancora un segreto di Gelli?
«Non ne ho più, si fidi. Non tutti sanno che da qualche anno ho donato il 90 per cento delle mie carte all'Archivio di Stato di Pistoia. Là si trovano documenti sulla P2, sugli anni della mia collaborazione con Peron in Argentina, su quelli nei quali servii il fascismo. Che, tra parentesi, sono stati tra i più belli della mia vita».
E il restante 10 per cento?
«Quello lo sto catalogando. Quando non ci sarò più finirà allo Stato».
Fascismo e massoneria, due mondi in apparenza inconciliabili. Lei come ha fatto?
«Alla massoneria fui iniziato proprio in Sardegna, nel 1944. Mi avevano mandato a La Maddalena, in una sorta di confino, subito dopo l'arresto di Mussolini. Spesso mi ritrovavo con il sindaco Marchetti, che era avvocato e massone. Mi ripeteva: Licio, sei in gamba ma purtroppo anche fascista. Altrimenti saresti andato benissimo per la nostra istituzione . Un problema che vent'anni dopo superai con l'affiliazione al Grande Oriente d'Italia».
Ricordi del periodo sardo?
«Eccezionali. Avevo fatto amicizia col maresciallo che era incaricato di tenermi sotto controllo. Avviai persino un commercio, che mi fruttò. Mi ero accorto che nel nord dell'Isola mancava il filo da cucire e allora, assieme al mio amico Vittorio Panichi (di Lucca), feci in modo di farmelo arrivare dalla Toscana. Con mia moglie Wanda lo raccoglievamo in rocchetti da 50 metri. E poi lo vendevamo. Siccome non c'erano soldi mi facevo pagare con i monili d'oro, quelli che abbellivano i costumi tradizionali sardi».
E quei sardi si lasciavano abbindolare?
«Ma no, entravano in possesso di qualcosa di vitale per la vita di tutti i giorni. Ho solo ricordi eccezionali: una volta l'auto con la quale ci muovevamo rimase in panne nei pressi di Mamoiada. La famiglia che mi ospitò per la notte insistette per cedermi il letto matrimoniale. Non avrei mai voluto ma quelle persone non vollero sentire ragioni. Ne conservo un ricordo caro».
E oggi ha più contatti con la Sardegna?
«Tantissimi, dal punto di vista ideale. Sono in contatto col Gran maestro Pilloni, della Gran loggia d'Italia, un vero amico. Per il resto sono costretto a vivere di ricordi, visto che la mia vita si svolge tra queste quattro mura».
Nelle lunghe serate di studio non si interroga mai sulle sua granitiche certezze in materia di fascismo e P2?
«Non rinnego nulla di quello che ho fatto. Il fascismo è stata un'esperienza che dovrà essere analizzata con più serietà, sotto il profilo storico. Ora si è iniziata a rivalutare l'azione dei combattenti e dei giovani che aderirono in nome dell'idealità. Le faccio il mio caso: ringrazio Dio di non essere mai stato costretto a versare il sangue di qualcuno. Ma se, quando comandavo una piazzaforte nei Balcani, mi fosse arrivato l'ordine di passare per le armi i prigionieri, cosa avrei dovuto fare? Quando si è giurata fedeltà allo Stato gli ordini vanno eseguiti. E io l'avrei fatto. Con la morte nel cuore, ma l'avrei fatto».
Vedendola qua, immerso tra i suoi libri, si stenta a credere che lei sia stato l'uomo più temuto d'Italia. Com'è potuto succedere?
«Potrei dirle che sono stato l'agnello sacrificale ma non lo farò. Anche su di me attenderò, dall'altro mondo, che sia la storia a raccontare la verità».
Nel frattempo che fa?
«La vita del pensionato. Ogni mese lo Stato mi versa 2500 euro, frutto dei contributi pagati nei tanti anni nei quali ho lavorato come dirigente d'azienda. E passo il tempo a leggere, a scrivere le mie poesie e la mia raccolta di memorie».
Con che ritmi?
«Avrò tempo di riposarmi quando la mia vita sarà finita. Alle sette del mattino sono già operativo e la mia giornata finisce non prima di mezzanotte».
E cosa si aspetta dal futuro prossimo?
«Niente di buono per l'Italia, se non si volta pagina. Per quanto mi riguarda, ogni sera scrivo sempre un appunto del giorno. Per il momento non mi servono, perché ricordo tutto. Però sono tranquillo, perché gli appunti sono lì».

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