Ior, la cassaforte vaticana: i segreti della banca di Dio


Da Marcinkus all'operazione trasparenza, fino alle accuse di oggi. Viaggio nel cuore della finanza (e dei misteri) dell'Istituzione finanziaria di Oltretevere. Gotti Tedeschi per il papa sarebbe degno del Nobel

di ALBERTO STATERA *

Spesse nove metri, le mura del Torrione di Niccolò V, eretto nel 1453, rappresentarono il potente baluardo della cristianità contro i turchi. Nel terzo millennio, quel bunker protetto dalle guardie svizzere che svetta oltre la porta vaticana di Sant'Anna, sede dell'Istituto per le Opere di Religione denominato all'origine "Ad pias causas", è giudicato se non proprio il paradiso, il purgatorio dell'offshore, dei misteriosi conti cifrati, del riciclaggio di denaro di origine opaca, di operazioni bancarie che virano sul grigio, quando non sul nero dell'inferno. Di quelle che insomma odorano da lontano di sterco del diavolo.


Il paradosso è che dopo secoli di diaboliche e impunite frequentazioni col maligno, sembra che il divino redde rationem giudiziario giunga proprio nel momento in cui decolla un tentativo di cristiana purificazione della finanza vaticana. Con papa Ratzinger, di cui gode la stima, e con gli altri plenipotenziari in tonaca, pare che il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, il moralizzatore, fosse proprio sul punto di lanciare il suo progetto-trasparenza per restituire prestigio alle istituzioni pontificie travolte continuamente dagli scandali, quando i magistrati di Roma l'hanno indagato con l'ipotesi di riciclaggio.

Niente più conti correnti anonimi intitolati a beati e santi, niente più pseudonimi, schermi e triangolazioni occulte, come quelle che per decenni hanno visto transitare nel Torrione miliardi e miliardi di denari talvolta d'ignobile provenienza. Queste le promesse del banchiere che da un anno si trova a maneggiare i segreti più imbarazzanti d'Oltretevere e non solo dell'ultimo mezzo secolo. Il tutto preceduto da un'inchiesta interna, segretissima, che deve aver affrontato momenti drammatici. Quando, per esempio, ha cercato di chiarire i movimenti di denaro sul conto di un ben noto cardinale, che ha dato in escandescenze. O quando si è imbattuta nei conti di Giulio Andreotti e del gentiluomo di Sua Santità Angelo Balducci, protagonista dello scandalo G8 e referente della cricca della Protezione Civile, che dimora a palazzo Chigi negli uffici di Gianni Letta e del suo factotum Luigi Bisignani, che lo fu anche del capo della Loggia P2 di Licio Gelli. Quello stesso Bisignani che, ancora giovanetto quasi imberbe, recava decine di miliardi della madre di tutte le tangenti (di allora) targata Enimont oltre la porta di Sant'Anna. Ben altro rispetto al miliardo e mezzo di lire attinto da Letta stesso anni prima dai fondi neri dell'Iri.


Aveva uno speciale pass Bisignani. E probabilmente lo conserva ancora, perché chi accede allo Ior, spesso con pesanti borse foderate di banconote, deve essere conosciuto per passare il vaglio della guardia svizzera. Valicata una barriera vetrata a comando elettronico - come ha raccontato in un suo libro Giancarlo Galli, che dal precedente presidente dello Ior Angelo Caloia fu condotto in visita nel Torrione blindato - si spalanca un salone moderno, un ottagono con pareti altissime, che sembrano quasi il paradiso. Il paradiso dell'offshore. In questa banca non esistono assegni con la stampigliatura Ior, solo contanti, lingotti d'oro e transazioni estero su estero via bonifico, con un clic elettronico. Niente ricevute, niente carte inutili. Chi è adeguatamente presentato può entrare portando una valigia piena di dollari di qualunque provenienza e uscirne senza ricevuta, ma con la certezza che il suo denaro andrà dove deve andare senza lasciare tracce.

L'ingresso del paradiso vero è più riservata, come si conviene. Solo gli intimi degli intimi possono attraversare il cortile di San Damaso, il cortile del Maggiordomo, e guadagnare il ballatoio dove giunge l'ascensore che cala dall'appartamento pontificio, dove, dietro a una porticina, c'è lo studio del presidente dello Ior. Gotti Tedeschi, che Sua Santità reputa degno del premio Nobel per l'economia, non ha che da salire in ascensore per spiegargli cos'è quest'ennesimo scandalo.

Se ieri sia salito su quell'ascensore verso il cielo Gotti ovviamente non lo dice neanche a sé stesso, ma l'alta gerarchia della Curia non ignora certo che da molto tempo la procura di Roma indaga su banche e banchette, come quella del Fucino fondata dai principi Torlonia, che ogni giorno scambiano operazioni per centinaia di milioni con lo Ior, considerato uno schermo dietro il quale quasi mai c'è una persona fisica o giuridica. E soprattutto c'è la filiale 204 dell'ex Banca di Roma, oggi Unicredit, allocata in via della Conciliazione al confine con le Mura Leonine, meno di duecento metri da piazza San Pietro, dove in due anni sono transitati su un conto Ior quasi 200 milioni di euro. Conti sconosciuti, protetti e sospetti. Di cui sicuramente, a suo tempo, non ignorava l'esistenza Cesare Geronzi. Ammesso che ne fosse all'oscuro, di certo ne fu informato il suo uomo per i rapporti con il Vaticano Marco Simeon. Ma l'ispezione interna si arenò misteriosamente.

L'Istituto per le Opere di Religione, nato una prima volta nel 1887 sulla base di quanto stabilito dalla Commissione "Ad pias causas" costituita da Leone XIII, divenne una vera banca il 27 giugno 1942 con chirografo di Pio XII, prevedendo che a usufruirne fossero dicasteri del Vaticano, conferenze episcopali, arcidiocesi e diocesi, parrocchie, nunziature, ordini religiosi, preti e monache. Non andò proprio così, quando si scoprì che sulla riva del Tevere albergava per gli amici e gli amici degli amici una banca onshore e al tempo stesso offshore, dove tutto si poteva nel maneggiare tanto denaro in dispregio delle regole. Nel mezzo secolo successivo e se non fino ad oggi fino a ieri, stando almeno al senso di umiliazione sincera manifestato dal presidente Gotti Tedeschi per l'inchiesta che lo coinvolge, è stata una teoria ininterrotta di scandali.

Sindona, l'omicidio Calvi, la stagione di Tangentopoli, con il giovane Bisignani che versò sul suo conto proteso verso il cielo 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, Gelli, il denaro riciclato dei corleonesi di Totò Riina, l'ex governatore Fazio, che scambiava i ratios patrimoniali con le massime morali di San Tommaso d'Aquino, Fiorani e le scalate dei furbetti del quartierino, persino lo scandalo del calcio, con Moggi che dello Ior sarebbe uno straricco correntista. E, per finire, la cricca dei gentiluomini di Sua Santità, gonfi di ricchezze da nascondere perché ingiustificabili.

Il tutto tra guerre interne che oltre il portone di bronzo raramente filtrarono nella loro tragica povertà terrena.
"Santità - scrisse Roberto Calvi a papa Wojtyla poco prima di essere ucciso sotto il ponte dei Frati neri a Londra - sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell'Est e dell'Ovest; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l'espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato".

Il cardinale Paul Marcinkus, ex capo dello Ior oggi defunto, che fu uno degli autori del disastro etico e d'immagine che ha segnato tutta la storia dell'oro del Vaticano maneggiando nel modo più indegno lo sterco del diavolo, paradossalmente mai si deve essere sentito il Maligno in clergyman, visto che quasi come un epitaffio sulla sua tomba disse: "Il denaro? No, non si può dirigere la chiesa con le Avemaria". Ecco, è proprio questo il tragico paradosso con cui deve confrontarsi con la sua coscienza nel Torrione il nuovo banchiere papale iperliberista che dice di vagheggiare la trasparenza.

* giornalista de La Repubblica
a.statera@repubblica.it
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