Chi sono oggi i difensori della democrazia? (Emilio Alessandrini lo era)


di Armando Spataro *

Emilio ALESSANDRINI, venne ucciso da un “commando” di Prima linea, il 29 gennaio 1979 a Milano, attorno alle 8.15, dopo che aveva appena accompagnato a scuola, come ogni mattina, suo figlio Marco (che oggi fa l’avvocato dopo avere pensato di entrare in magistratura). P.L. rivendicò l'omicidio spiegando, anche in quell’occasione, che i veri nemici del proletariato non erano i persercutori ottusi e reazionari delle “avanguardie ” comuniste, ma quei giudici democratici e riformisti che, come Emilio, con la loro attività e la personale credibilità, consentivano al sistema di esistere. Emilio era proprio uno così. 


Sin dall’inizio della sua carriera sostituto a Milano, era, nell'ufficio, la cerniera tra i giovani (di cui era punto di riferimento) e gli anziani (che gli riconoscevano particolare autorevolezza). Ma Emilio era pure un osservatore attento dell'evoluzione del costume in relazione ai problemi della giustizia penale (rammento la sua preoccupazione, ad esempio, di pensare un sistema legale per "costringere" gli enti pubblici a realizzare le strutture di recupero dei tossicodipendenti previste dalla Legge del ‘75, ma, come spesso avviene da noi, del tutto inattuate). Oggi, penso, reagirebbe sdegnato al moto di xenofobia che si diffonde nel paese, alla mancanza di solidarietà verso chi soffre ed inviterebbe tutti, autorevolmente, a volare più in alto ed a guardare il mondo intero, senza limitarsi al proprio particolare ed angusto osservatorio.

Ero di turno esterno il 29 gennaio 1979 e quando, a poche centinaia di metri dall’edificio in cui entrambi abitavamo, arrivai all'incrocio dove la sua auto bloccava il traffico, con lo sportello aperto e la polizia attorno, guardai quell'uomo così giovane, accasciato sul volante e, inerte anch’io, pensai immediatamente a quando, un anno e mezzo prima, mi aveva discretamente accompagnato nell'aula della Corte d’Assise dove stava per iniziare il processo al nucleo storico delle BR. A Torino era stato ucciso l'avv. Casalegno ed era saltato quel processo per impossibilità di costituire la giuria. Poche settimane dopo, nel giugno del ’77, stata per iniziare la celebrazione del processo di Milano a carico di Curcio, Mantovani ed altri nomi storici del vertice delle bierre: mi incaricarono di sostenere l'accusa, ma Emilio fu incaricato di farmi da tutore (non me lo disse, ma per me era chiarissimo). Mi accompagnò, dunque, in aula e, in attesa che la Corte entrasse, si collocò discretamente alle mie spalle, dietro il banco del PM. Mi vide respingere a brutto muso il solito gruppo dei soliti avvocati di Curcio & c., che, pur revocati (ricordate il processo-guerriglia?), pretendevano da me l'autorizzazione al colloquio con i loro assistiti. Non mi conoscevano e mi dissero che, se avessi insistito nel negare quel permesso, "avrebbero riferito a Curcio che il PM non voleva che i suoi difensori parlassero con lui" . Risposi che sarebbe stato preferibile aggiungere anche il nome del PM : glielo scrissi su un pezzo di carta, consegnai loro il bigliettino e li congedai: si allontanarono senz’altro aggiungere. Emilio mi si avvicinò e mi chiese "se da piccolo avessi giocato spesso al pubblico ministero". Avevo imparato quel “gioco” da mio padre, gli risposi. Mi diede una pacca sulla schiena e se ne uscì dall'aula sorridendo. Scusate l'autocitazione, vi prego di credere che volevo solo ricordare Emilio nella sua più genuina espressione : quel suo gesto e le sue parole costituiscono per me, ancora oggi, la più grande soddisfazione professionale.

Ma Emilio era così con tutti, la sua umanità era straripante : non c’era un Natale o una festa “raccomandata” in cui dimenticasse di andare a trovare il centralinista cieco del Palazzo di Giustizia (per noi tutti, in un’epoca in cui non esistevano centraline elettroniche e sistemi automatici di smistamento delle chiamate, quell’uomo era solo una voce dal volto sconosciuto) per fargli gli auguri, regalargli il panettone ed abbracciarlo (nessuno, purtroppo, ha mantenuto la tradizione dopo la morte di Emilio!); non c’era giovane collega, bisognoso di consigli, cui non dedicasse ore preziose del suo lavoro; e tanti erano i condannati, in processi da lui istruiti, che spesso andavano a salutarlo per ringraziarlo della umanità che aveva con loro dimostrato e che non avrebbero mai dimenticato. Tra le più assidue, un’anziana sedicente contessa, condannata per sfruttamento della prostituzione; Emilio non chiudeva la porta neppure a questo personaggio pittoresco, la lasciava accomodare ed a lungo parlare, come lei pensava facciano di solito le contesse: in una di queste occasioni, entrò nel suo ufficio una delle giovani sostitute della Procura di Milano ed Emilio, rivolgendosi alla sua ospite, le disse “Contessa, permetta che le presenti la collega…., mia collega, non sua”. La contessa ne prese responsabilmente atto.

Ma il nome di Emilio Alessandrini è indissolubilmente legato alle indagini per la strage di Piazza Fontana. Per sua naturale discrezione, sia pure a molti anni di distanza, lui ne parlava poco: non gli piaceva, credo, rinverdire gli allori, né ripercorrere una vicenda che non considerava definita ed il cui esito processuale non poteva certo ritenere soddisfacente. E’ sempre stato Gerardo D’Ambrosio, giudice istruttore in quella vicenda, a raccontarmi in più occasioni del suo eccezionale acume investigativo, della sua capacità di muoversi intelligentemente nel grigio territorio delle deviazioni e coperture istituzionali e della sua incredibile memoria (pare fosse in grado di ricordare miriadi di nomi, date, particolari anche a distanza di molto tempo).
Gerardo, Gigi Fiasconaro (con Emilio, PM in quel processo), Ovilio Urbisci, Giovanni Tamburino ed altri di questo parlavano con me, giovane PM incaricato delle indagini sull’omicidio di Emilio (in attesa del trasferimento dell’inchiesta che, allora, era deliberato dalla Corte di Cassazione), a pochi giorni di distanza dal fatto; evidentemente, era forte il timore che, per inesperienza, potessi trascurare la pista possibile dei “servizi deviati”: Emilio, dicevano, non aveva mai smesso di indagare su Piazza Fontana e tutti temevano che potesse pervenire ad ulteriori, inoppugnabili verità.
Sembrava impossibile, a tutti, che un’organizzazione che si autodefiniva “di sinistra”, sia pure eversiva, potesse colpire un uomo come Emilio che dell’ansia di progresso e democrazia era una delle bandiere, non solo all’interno della magistratura.
Ma era, quella, l’incredulità di tutti i congiunti e degli amici delle tante vittime del terrorismo di sinistra, l’inconsapevole ed inespresso bisogno di attribuire le morti di Alessandrini, Galli, Tobagi e di altri ancora a “menti raffinate”, a complotti istituzionali piuttosto che, come in effetti era, alla folle ideologia di una folle stagione, credo irripetibile ad onta della persistenza, nel tessuto sociale, di concause scatenanti il terrorismo.
Tutti ricordano l’addio ad Emilio: Milano intera al suo funerale, strade e piazze stracolme di gente che lo applaudiva, una città ferma in quel freddo mattino d’inverno. La chiesa immobile e partecipe del dolore e della dignità della giovane moglie Paola e del bambino Marco, serio ed impettito come un cadetto di West Point (oggi Marco ha assolutamente sorriso, espressioni e movenze del padre, pur non avendo avuto il tempo di somatizzarli).
Penso che sia stata proprio la reazione della gente a quell’assurdo omicidio ed a quello di pochi giorni prima di Guido ROSSA (avvenuto il 24 gennaio 1979, a Genova) ad innescare la fine del terrorismo.

Tutti i suoi amici, Gerardo D'Ambrosio, Guido Galli (che sarebbe sopravvissuto fino al 19.3.80, ucciso davanti alla sua aula universitaria), Enrico Pomarici, Giovanni Tamburino, Gigi Fiasconaro, Camen Manfredda ed altri ancora conservano la sua foto, in ufficio o a casa: è stata utilizzata da un famoso scultore per realizzare il suo busto che troneggia in Procura, a Milano. Ma il busto non gli rende giustizia : non c’è il suo sorriso irresistibile ed ironico che vive nella mente e nei ricordi di chi l’ha conosciuto. E chi l’ha conosciuto, lo ha amato.

* Armando Spataro (Taranto, 16 dicembre 1948) è un magistrato italiano, procuratore della Repubblica aggiunto presso il tribunale di Milano, Coordinatore del Gruppo specializzato nel settore dell'antiterrorismo, ex segretario nazionale del Movimento per la Giustizia (una delle correnti di sinistra dell'Associazione Nazionale Magistrati) ne è attualmente segretario distrettuale a Milano ed è inoltre dirigente nazionale dell' ANM.