23 MAGGIO 2012: non sono 20, ma 30. Perché da tanto dura questa lunga stagione di uomini e donne lasciate sole di fronte alle mafie. Nudi al cospetto di un'Italia che ieri come oggi predilige le convenienze. Una stagione che non comincia con Capaci nel 1992, ma con Pio La Torre nell'aprile del 1982 per proseguire con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ammazzato, anche lui con la moglie come Falcone, cinque mesi dopo.
I dieci anni che seguirono segnarono una timida vittoria contro "cosa nostra" con il maxi processo di Falcone. Ma era una vittoria di Pirro. Perché conclusa ai danni del solo braccio armato della mafia e perché incapace di scalfire la melma delle connivenze e delle connivenze. E fu sempre la solitudine a trasformare il "morti che camminano" Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992.
Uomini e donne che facevano paura a "menti raffinatissime". Su quelle entità grige ancora ci interroghiamo. Diceva bene, ed è triste, Isabella Bossi Fedrigotti nel suo articolo dedicato a Francesca Morvillo Falcone, moglie di Giovanni, a poche ore dalla strage di Capaci: "Morendo col marito, le è stata risparmiata la rabbia di non vedere mai puniti i colpevoli".
E questo resta, trent'anni dopo, di una storia di Eroi abbandonati dal Paese che servivano: la spaventosa sensazione che la verità non verrà mai svelata. Una verità che possiamo immaginare e che si sviluppa attraverso i compromessi tra una politica accomodante e una mafia che, senza scrupoli, persegue i suoi obiettivi. Questo lo possiamo immaginare, certo. Ma ciò che non riusciamo ancora oggi a capire è chi dei due interpreta il ruolo del mandante e chi del complice. Possiamo solo constatare che le vittime siamo tutti noi.
Trent'anni dopo questa oscura storia di solitudine, l'Italia ha bisogno di più impegno, più spina dorsale. Ma è difficile trovare le forze quando le sicurezze economiche vengono meno, quando le nostre sicurezze vengono quotidianamente minate dall'instabilità. E' difficile, ma è necessario. Perché il passo che intercorre tra l'essere vittime e l'essere complici è troppo breve. Perché la dignità è ciò che ci rende liberi.