Le tre "puntate" della saga – come ci ammonisce l’Autore - raccontano “storie effettivamente accadute. Sono veri e sono esistiti anche tutti i personaggi che ne sono protagonisti. Solo in pochi casi, quando gli eventi narrati assumono carattere di particolare gravità, i nomi dei personaggi sono stati cambiati”.
Accanto alla comune precisa ambientazione geografica – Montepeloso, appunto, il vecchio nome di Irsina, paese natale di Giuseppe Decollanz – i testi della Trilogia hanno una medesima collocazione storica, gli anni del fascismo, e, naturalmente, la medesima coerente prospettiva: testimoniare i guasti prodotti dalla violenza fascista in terra di Basilicata (o, meglio, Lucania, come Mussolini stesso volle che fosse chiamata) contro qualsiasi revisionismo “storiografico”.
La vita di Baldassarre Arrivadopo, il protagonista di questo nuovo volume con un cognome che sembra un soprannome, attraversa la storia di Montepeloso negli anni che vanno dall'epilogo del XIX secolo alla fine degli anni Venti: lasso di tempo che ha visto l’Italia coinvolta in due avvenimenti epocali: la prima guerra mondiale e l’affermazione del fascismo come regime totalitario.
Baldassarre vive da protagonista questi due momenti: dopo un’infanzia in cui è orfano della madre prima e del padre Agostino poi, viene allevato dalla zia paterna, Marietta, ed una fanciullezza che non lo vede impegnato – come a moltissimi accadeva all'epoca – nel lavoro in agricoltura, nella pastorizia o nell'artigianato ma nello studio liceale prima a Potenza e poi presso il Seminario vescovile di Molfetta senza conseguire la maturità. Questo è il cruccio della zia/mamma: “Le opprimeva il cuore e le rendeva affannoso il respiro il terrore che Baldassarre potesse diventare, non completando il liceo, come una bandiera a mezz’asta, o meglio come un pesciolino smarrito che nell’oceano sterminato e infido nuotasse e si agitasse senza mai imboccare la direzione giusta per tornare alla tana […] A quel nipote, affidato a lei da un destino amaro e crudele che gli aveva negato di avere un padre e una madre, aveva dedicato se stessa. Ora era angosciata dal timore che, invece di farne un avvocato, stesse correndo il rischio di farne uno studente fallito, come dicevano i Montepelosani di tutti coloro che per ragioni più o meno diverse erano costretti a interrompere gli studi" (pp. 8-9).
Dopo lavori, oggi si direbbe da precario, di tipo impiegatizio – in un’agenzia di assicurazioni ed all’Ente Comunale Assistenza – un giorno gli arriva da Saverio Capezzera, una proposta: “Perché non ti arruoli come volontario? L’età giusta ce l’hai! Potresti fare anche una brillante carriera. Ascolta il mio consiglio: invece che annoiarti in questa stanza vuota e senza luce, vai ad arruolarti! La guerra per noi sta andando molto male. Dopo la batosta di Caporetto, le truppe austriache stanno per oltrepassare il Piave! Abbiamo disperato bisogno di giovani disposti a combattere! Potresti arruolarti nel Corpo delle Guardie portuali che la Compagnia di Navigazione Rubattino ha costituito per difendere le sue navi ancorate nel porto di Massaua, in Eritrea, e da lì transitare nell’esercito. Tanto il corpo delle guardo portuali è solo una finzione; in realtà quel corpo, voluto da Salandra, il capo del governo, è frutto della volontà di formare un battaglione di volontari perfettamente addestrati e pronti a tutto. Quanto prima sarà spedito al fronte, sulla linea del Piave, per fermare l’avanzata degli austriaci.” (p. 31).
Per la vita di Baldassarre Arrivadopo, ci racconta Decollanz, è la svolta - come per tantissimi della sua generazione; la prima guerra mondiale funge da spartiacque e crea aspettative in tutti i combattenti che vogliono migliorare le loro condizioni al termine della guerra: figurarsi Baldassarre che per la Patria ha sacrificato una gamba, un braccio ed un occhio. Essere fagocitato nel nascente movimento fascista è tutt'uno il 23 marzo 1919 il protagonista partecipa all'atto di fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento durante l'adunata di piazza San Sepolcro a Milano. “Il totale allineamento di Baldassarre sulle posizioni del Fascismo più intransigente, più violento e squadrista, ma soprattutto acerrimo nemico di tutto ciò che puzzava di ideologia socialista, egualitaria e libertaria, piacque molto a Benito Mussolini. Ricordando l’entusiasmo e l’ammirazione che il giovane “grande mutilato di guerra” aveva suscitato a Milano nel giorno del Sansepolcrismo, il Duce pensò di utilizzare a vantaggio di se stesso e del proprio partito il mito dell’eroe della grande guerra e decise di inserire Baldassarre nell'elenco di coloro ai quali avrebbe quanto prima conferito l’onorificenza di fregiarsi della ‘Sciarpa Littorio’” (p. 80).
L’eroe di guerra, il compaesano famoso e politicamente influente – fama testimoniata dalla sua foto sui giornali il giorno seguente all'adunata - torna in paese allorquando il Partito lo designerà quale Commissario straordinario della sezione montepelosana per contrastare il perdurante consenso elettorale di Nicola Mitilde, sindaco socialista: “Con lui forse riusciremo a ribaltare la situazione, perché rappresenterebbe una valida alternativa a Nicola Matilde. E’ assurdo che alle elezioni per il parlamento prendiamo molto più voti dei socialisti, mentre alle elezioni per il sindaco trionfa sempre Nicola Matilde. Il fascino che lui esercita sulla gente è grande, può essere scalfito solo da Baldassarre, l’eroe della stampella” (p. 79).
Nel momento cruciale della cerimonia di insediamento del neo commissario politico che ha il compito di estirpare il ’fuoco’ dell’ideologia socialista che, da Montepeloso a Montescaglioso, da Bernalda a Tursi e fino a Rotondella, continuava ad ardere sotto la cenere, nel tempo in cui il Duce pensava all’istituzione delle seconda provincia (Matera) nella medesima prospettiva politica, un avvenimento imprevisto: “Nel silenzio che sembrava aver fermato perfino il respiro dei presenti, risuonò alto e forte un grido di sdegno e di rabbia, un grido di fede e di vendetta. Cadde con martellante cadenza sulle teste dei presenti, richiamandoli bruscamente ad una realtà dura e terribile. -Fascisti assassini! Viva Giacomo Matteotti! Viva il Socialismo! Abbasso Benito Mussolini!
L’atmosfera di sorrisi e di compiacimenti si trasformò, di colpo, in uno sconvolgente turbinio di paure, di grida, di invocazioni di Santi e Madonne, fu un fuggi fuggi generale” (p. 99).
Siamo nel novembre del 1926, quando sono state emanate le leggi cosiddette ‘fascistissime’: viene scatenata una caccia all’uomo da parte dei fascisti che, dopo aver ucciso due innocenti contadini e manganellato Nicola Mitilde in modo da farlo morire poco dopo “come il compagno Giacomo Matteotti!” (pp. 110-112), pensano di aver trovato il ‘vero’ colpevole in Emanuele Capotosto, un muratore di Grassano, cognato del Vescovo di Tricarico, giunto a Montepeloso dal parroco, per rattoppare le crepe sui muri del campanile.
Anche il suo pestaggio ha conseguenze mortali: il Vescovo, per ottenere giustizia, si recò di persona a Roma, “fece visita a vescovi e cardinali, anche a quelli con i quali non aveva rapporti né di amicizia né di conoscenza; fece anticamera nelle segreterie di molti gerarchi fascisti, perfino del Ministro dell’Interno al quale la sua visita era stata richiesta dal cardinale Gentiloni” (p. 120). Il Duce in persona – impegnato nelle trattative con il Vaticano che avrebbero messo capo l’11 febbraio 1929 alla firma dei Patti Lateranensi – non può fare a meno di destituire tanto il podestà di Montepeloso, che la Sciarpa Littorio Baldassarre Arrivadopo, confinandolo nell’isola di Rodi, dove morirà pochi mesi dopo all'età di appena trenta anni. Anch'egli è un ‘vinto’ (per prendere a prestito la definizione di Giovanni Verga), vittima del regime: illuso dalla retorica bellica e fascista, innalzato agli onori e poi abbandonato al proprio destino di confinato, come un sovversivo qualunque: “ Povero Baldassarre, anche all'appuntamento con la libertà e con la democrazia è arrivato dopo, è arrivato da morto. Una vita inutile!“ (p. 127).
Conclude l’Autore: “E’ stato, in realtà, un martire della dittatura fascista, una vittima predestinata delle nefande violenze degli squadristi, un ingenuo cittadino tradito, come quasi tutti gli italiani, dalla insulsa e banale retorica del Duce, di Benito Mussolini” (Ibidem).
Questa storia - che ci siamo fatti raccontare da Giuseppe Decollanz, leggendo questo suo libro postumo - molto ha da insegnare agli uomini del XXI secolo e non solo da un punto di vista storiografico. Come si legge nella dedica firmata dai figli, Luigi e Maurizio, “con questi scritti, ha voluto lasciarci un dono prezioso: la memoria storica di ciò che siamo stati. Senza di essa non si può costruire un futuro migliore”. La Trilogia delle “Storie di Montepeloso” è per tutti un’eredità intellettuale e morale da testimoniare quotidianamente senza vacillamenti.