E’ vero, la rabbia cova ormai da
anni dentro gli italiani. Troppa ingiustizia, troppa insoddisfazione. Mettetevi
nei panni di un padre di famiglia che, come sta capitando a tanti, perde il
lavoro proprio nel momento in cui pensava di poter cominciare a mettere a
reddito un’esperienza professionale ventennale. Provate a mettervi nei panni di
un trentenne che vede intorno a se un modo che vorrebbe acchiappare e fare suo.
Il mondo della normalità, quello in cui si può pensare al futuro pianificandolo
e invece è per lui tutto inafferrabile: senza un lavoro e senza un reddito non
esiste futuro. Pensate a quanti lavorano quotidianamente, con la fatica e lo
stress propri di chi deve spingere molto più forte di prima per riuscire a
centrare obiettivi prima banali. Un professionista o un artigiano che, alla
fine del loro lavoro, verranno pagati in ritardo e solo dopo molte proteste. Tutti
patiscono e a tutti tocca trovare un modo per dare equilibrio alle ansie, alle
paure.
Ho fatto qualche esempio, ma se
volessi fare un elenco delle fertili situazioni in cui la rabbia e il
risentimento covano in modo esponenziale, non basterebbero le pagine della
sceneggiatura di Ben Hur.
Quindi la rabbia c’è ed è tanta.
Questo è innegabile. Ma pensare di indirizzarla e sfogarla contro quel poco che
ci resta, la democrazia, un sistema istituzionalmente organizzato, semplicemente
con l’intento di distruggere, credo sia un danno per tutti oltre che stupido.
Se un muro è venuto storto non si
abbatte tutta la casa. E anche l’abbattimento di quella parete andrà fatto con
criterio, cercando di risparmiare il materiale che potrà essere riutilizzato. Il
muro andrà abbattuto senza provocare danni al resto della struttura.
Ebbene, in Italia di muri storti
ce ne sono tanti, troppi, è evidente. Ma quello che ci tocca osservare,
purtroppo, è sempre più spesso la mala intenzione di abbattere tutto il Paese
invece delle sole sue pareti malfatte. Penso anche che se si ottiene un buon
consenso popolare per andare a fare il muratore, il lavoro andrà fatto bene e
con criterio. Con la responsabilità che deriva dal consenso democratico. Con lì
equilibrio che va ben oltre il semplice sfogo della pancia rabbiosa di un popolo
troppo a lungo maltrattato.
Sono più che mai convinto che le
vele maestre per un futuro sostenibile siano quelle dell’esempio secondo rettitudine
e della decrescita felice. Due vele che possono sì essere gonfiate dalla forza
prorompente di una forte rabbia, ma occorre indirizzare correttamente le
energie avendo l’opportuno coraggio di andare oltre gli opportunismi del
proprio tornaconto. Generosità, in poche parole, senza sfociare nella
dabbenaggine. Io credo sia possibile.