Avete presente quella canzone di Ligabue? Quella dedicata ai suoi genitori e al ricordo che conserva dentro di se? È molto bella e fin dalla prima volta che l'ho ascoltata mi ha fatto molto pensare. Ognuno di noi, è evidente, conserva nella propria memoria delle istantanee dei propri cari. Non sono solo immagini, ma colori e sensazioni. Un piccolo vasetto pronto a sprigionare emozione non appena scoperchiato. Oggi sono esattamente due anni da quando mio padre ha iniziaro il suo lungo viaggio per un altro dove e per un altro quando. E vorrei aprire quel vasetto.
La prima istantanea che emerge, è quella dio mio padre che mi sistema i capelli dopo il bagno, la sua stessa pettinatura, l'odore del dopobarba che arriva dall'armadietto. Ho circa cinque anni. Poi lo vedo seduto sul divano, mentre segue i risultati delle elezioni politiche in televisione e, con gli occhi pensierosi, sospira per l'ennesima delusione mentre la sigaretta si consuma da sola tra le sue dita.
Mio padre nel suo studio, scrive e riempie fogli che poi accumula dentro una cartelletta: l'aria soddisfatta ma stanca di chi ha fatto il proprio dovere. Mio padre che mena mio fratello: ne ha combinata un'altra. Bella grossa. Mio padre che piomba nel campetto di calcio in campagna e ci sfida, figli e nipoti, per una partita all'ultimo respiro. E dopo dieci minuti si appoggia alla rete ansimante mentre ride piegato dalla fatica. Mio padre che mi insegna a riparare le forature della bicicletta e io che lo osservo ammirato mentre immerge la camera d'aria nella bacinella colma dell'acqua.
Mio padre immobile, sdraiato e vestito di tutto punto, sembra sorrida, e io che gli infilo gli occhiali nella tasca interna della giacca prima che quelli che mi sono alle spalle lo sigillino con il piombo nella sua nuova casa fatta di legno massiccio.
Ciao babbino, cosa sará mai portarti dentro solo tutto il tempo.