La riduzione del "gap" tra ricchi e poveri del mondo può creare nuovo business?


In questi giorni assisto all'affannarsi delle ricerche economico-finanziarie per dare nuovo impulso agli investimenti per il 2015. Sullo sfondo appare l'ombra di una malata cronica: l'Europa. La sua scarsa capacità di affrontare unita la crisi economica che ci colpisce duramente dall'ormai lontano 2007 (anno del fallimento della Lehman Brother) ha fatto naufragare i timidi provvedimenti adottati fono ad ora: la BCE insegue i Governi, i Governi inseguono la disoccupazione e il malcontento popolare, i mercati guardano e molto spesso sorridono amplificando guadagni sterili che troppo spesso si basano su semplici numeri senza il benché minimo sostegno dell'economia reale.


Ora siamo giunti ad una fase nuova: il mondo che ancora corre o cammina si accorge che senza quel 25% del suo business, a tanto ammonta la fetta offerta dal vecchio continente, tutto il castello di carte rischia di crollare. Ecco, allora, le pressioni, le ricette e i diktat perché la giostra di eurolandia riaccenda le sue luci e torni a funzionare. Ma in verità nessuno ha veramente una chiara idea di come fare. Qualcuno parla di economia malata, incapace di autorigenerarsi. Altri parlano di decrescita felice come unica ricetta per sopravvivere: accettare con rassegnazione che le vacche grasse sono finite e che da ora in poi ci sarà solo brodino.

Il tema vero che si profila all'orizzonte è quello suggerito da due semplici numeri: l'1% della popolazione mondiale detiene la stragrande maggioranza della ricchezza mentre il restante 99% guarda alla finestra scoraggiato, affamato e violato nei propri diritti. Questo dato ha originato migliaia di moti di proteste e malcontento senza arrivare ad alcun risultato concreto. Ecco, ciò che servirebbe è concretezza.

Questo dato andrebbe utilizzato per sviluppare una nuova economia, un nuovo business improntato alla redistribuzione dei redditi e delle ricchezze. Il terreno su cui piantare questo seme prezioso è quello culturale: una nuova sensibilità andrebbe promossa e pubblicizzata. Quella dell'impiego efficace ed efficiente dei patrimoni finalizzato al miglioramento del sistema Mondo. Lo strumento del micro-credito, assieme ai tanti miracoli che è stato capace di fare, è un esempio brillante. Muhammad Yunus, che per questo ha ricevuto un premio nobel, non è certamente divenuto povero dopo aver sviluppato la sua invenzione. Al contrario, ha visto crescere i suoi proventi. Certo, una crescita più lenta rispetto a certi exploit a cui ci ha abituato una certa finanza ma molto più proporzionata alle reali esigenze di un moderno "Paperone".

Sono certo, quindi, che la riduzione del "gap" tra ricchi e poveri del pianeta sia il miglior asset su cui puntare i propri investimenti dal 2015 in avanti. Se le case d'investimento e i gestori dei grandi patrimoni cominciassero a lavorarci sul serio i risultati non tarderebbero ad arrivare. Si chiama social business e dovremmo parlare di più.